mercoledì 16 luglio 2014

Lavorare negli Hotels. 10 svantaggi





1.Sfruttamento; molte volte lavorare nei ristoranti prevede un’ ingiusta accettazione di condizioni ai limiti della sopportazione. Non sempre le ore di straordinario sono pagate adeguatamente e non sempre lo sforzo viene riconosciuto per via della facile sostituzione del lavoratore.

2.Lavoro nero; non sempre questo lavoro viene pagato regolarmente con un contratto. Denunciare eventuali abusi è d’ obbligo.

3.Proprietari; questo dipende dalla fortuna individuale. Io nella mia carriera nella ristorazione ho incontrato ogni genere di proprietario. La maggiorparte delle volte non sono stato molto fortunato. E voi che esperienze avete avuto?

4.Impredivibilità; aspettatevi una chiamata dal boss che vi chiede se potete lavorare fra 30 minuti. Succede eccome.

5.Orari; non tutti gradiscono le ore notturne, lavorare nei ristoranti comporta molta resistenza fisica e mentale.

6.Precarietà; visto l’alto turnover, il lavoro non è sicuro come in altri settori.

7.Stress; dover cucinare o servire un alto numero di clienti può generare della mole di lavoro assai stressante.

8.Maleducazione della gente; questo forse il lato peggiore. Se avete lavorato al pubblico probabilmente saprete quanto l’ arroganza e la stupidità della gente sia diffusa. In Italia e all’ estero senza distinzione.

9.Periodi di vacanza; per via della sua natura, preparatevi a lavorare a Natale, Pasqua, Ferragosto e Capodanno.

10.Salario; se non siete capo cuochi, difficilmente avrete un alto salario. Molto più probabile vi verrà offerto il minimo.

Dopo aver letto i 10 svantaggi e i 10 vantaggi nel lavorare negli
Hotels, quale è la vostra opinione?

Lavorare negli Hotels 10 vantaggi







1.Ampia richiesta; il settore della ristorazione ,storicamente, offre molte posizioni lavorative, più o meno qualificate. Inoltre è un settore molto mobile, a volte sono i soli lavori disponibili sul mercato.

2.Facile apprendistato; ovviamente Gualtiero Marchesi o Gordon Ramsay non sarebbero daccordo su questa definizione, però bisogna dare atto che per lavare i piatti non si deve conoscere la legge della relatività.
3.Flessibilità; gli orari di lavoro e la possibilità di gestirli non sono come il lavoro di ufficio e molte volte si possono programmare dei periodi di riposo inpensabili in altri lavori.
4.Possibilità di viaggiare; lavorare nei ristoranti è il tipico lavoro di chi viaggia. Acquisire un’ ottima professionalità permette di cambiare città e lavoro molto più facilmente di altri lavori.
5.Variabilità; se il lavoro di ufficio può risultare noioso, lo stesso non si può dire nel lavoro nei ristoranti. Ogni serata è a se stante è chi ci ha lavorato lo sà mo,to bene.
6.Contatto con la gente; per alcuni può sembrare un fattore negativo, infatti lo inserirò anche nell’ altra lista.
7.Possibilità di carriera; con la dovuta formazione, lavorare nei ristoranti può aprire diverse possibilità di carriera, alcune molto remunerative.
8.Mance; contanti, esentasse, i migliori soldi. L’ ammontare dipende solo dalla tua simpatia, e dall’ onesta del proprietario.
9.Mattina libera; per chi ama dormire, difficilmente il lavoro inizia prima delle 10.
10.Pasti compresi; se il proprietario lo permette, mangiare gratis al ristorante comporta un notevole guadagno economico.

venerdì 4 luglio 2014

L’arte di apparecchiare la tavola

L’arte di apparecchiare la tavola







L’arte di apparecchiare la tavola
Mollettone, tovaglia, coprimacchia
Il cameriere stenderà, nell’ordine, i seguenti elementi:
1 - Mollettone
deve essere teso, in modo che la tovaglia vi aderisca bene.
2 - Tovaglia
colpisce subito l’occhio del cliente ed è perciò importante che sia sempre pulita e ben stirata. Se è di
grandi dimensioni, è necessario che venga stesa e tolta da due persone.
Come stenderla
I camerieri usano una tecnica particolare di stesura della tovaglia. Perché?
•spesso è necessario stendere la tovaglia o il coprimacchia davanti ai clienti, servendosi di maniere
eleganti
•una volta che se ne è acquisita la padronanza, è una tecnica rapida e precisa (e ricordate che non è
facile spostare una tovaglia se sotto c’è il mollettone)
Per centrare la tovaglia con precisione e rapidità, è importante tener conto delle pieghe di stiratura e di
eventuali stemmi, scritte, righe lavorate:
•aprite la tovaglia sul tavolo in modo che la piega centrale sia al di sopra e le due parti con il bordo,
sotto
•afferrate la piega centrale fra il pollice (sopra) e l’indice (sotto) e la prima delle due parti con il bordo
fra l’indice e il medio
•sollevate la tovaglia e stendete sul lato opposto del tavolo la parte inferiore rimasta libera; controllate
che:
•la piega centrale sia al centro del tavolo ed esattamente in mezzo alle sue gambe
•la piega centrale abbia una ben determinata direzione, la stessa per tutti i tavoli (in genere l’entrata
della sala)
•la parte che ricade sia di egual misura su tutti i lati
•gli angoli della tovaglia si trovino in corrispondenza delle gambe del tavolo
Se non è così, sollevate la tovaglia e, facendo aria, spostatela fino al punto desiderato;
•liberate la piega centrale e distendete la tovaglia sul tavolo, tirandola verso di voi dalla parte con il
bordo.
Il contatto delle mani con la tovaglia deve essere ridotto al minimo: vietato, quindi, appianare le
pieghe. La tovaglia perderebbe freschezza (di cui anche le pieghe sono un indice) ed il livello igienico si
abbasserebbe.
Come ripiegarla
Anche in questo caso vanno rispettate le pieghe esistenti:
•afferrate fra il pollice e l’indice l’estremità destra della piega centrale
•afferrate fra il pollice e l’indice anche l’estremità sinistra, tenendo le braccia allargate
•sollevate la tovaglia e lasciatene ricadere le parti laterali
•posate la tovaglia sul tavolo in modo che la piega centrale si trovi in alto
•piegate la tovaglia una seconda volta procedendo alla stessa maniera, in modo che la seconda piega sia
ora in alto
•sollevate la tovaglia introducendo gli indici delle due mani sotto la piega
•piegate la tovaglia in modo che la piega centrale rimanga sempre in alto
3 - Tovaglietta o coprimacchia
Va stesa utilizzando la stessa tecnica della tovaglia; deve coprirne tutta la superficie.
La preparazione dei coperti
Per coperto si intende ciò che viene disposto in tavola per ogni commensale prima del suo arrivo.
Servizio dei menù o dei piatti alla carta Se il cliente non ha ordinato in anticipo, si prepara ilcoperto di
base, che può essere modificato in funzione delle ordinazioni del cliente. Compongono il coperto di
base: - il tovagliolo- le posate - i bicchieri - eventuale piatto segnaposto Per la preparazione del coperto
è necessario che il cameriere sappia con quali posate si mangiano le varie pietanze.
Prima di disporre il coperto, è importante fare attenzione che la tovaglia sia stesa correttamente. Le
sedie non devono essere addossate al tavolo, ma sfiorare soltanto la tovaglia. Se possibile, è opportuno
che siano disposte in maniera tale che il cliente abbia la visuale libera e possa ammirare il paesaggio o
osservare la gente che entra o è presente in sala.
Quando i coperti sono più d’uno sullo stesso tavolo, è importante che la ripartizione dello spazio sia
equilibrata e che ad ogni commensale sia riservato uno spazio sufficiente. I coperti in numero pari:
attenzione che siano disposti a coppie uno dirimpetto all’altro. Se sono dispari hanno importanza le
distanze.
Nella disposizione degli elementi si parte dal centro, che può essere costituito dal tovagliolo, da un
piatto segnaposto o da un piatto piano con sopra un tovagliolo.
Tovagliolo a mezzo cm dal bordo del tavolo, piegato in modo semplice. In passato si prediligevano
presentazioni fantasiose. Oggi si dà priorità all’igiene e alla freschezza.
Coltello grande a destra del tovagliolo e alla sua stessa altezza, con la lama rivolta verso l’interno.
Forchetta grande a sinistra del tovagliolo, a una distanza dal coltello sufficiente per collocarvi un piatto
grande.
Bicchiere in genere quello per il vino rosso, è messo ad un cm circa dalla punta del coltello grande. Un
secondo bicchiere, quello per il vino bianco o per l’acqua, va posto a destra del primo, in diagonale.

“Mise en Place”

“Mise en Place”







Con l’espressione francese “mise en place” – che si pronuncia “mis an plas” e letteralmente significa
“messa sul posto” – si indica la preparazione di tutto il materiale necessario per un corretto servizio.
Di solito è svolta prima dell'arrivo dei clienti e se eseguita con cura, garantisce un servizio scorrevole:
“una buona mise en place è metà lavoro”.
La preparazione del tavolo di servizio o consolle Questa operazione consente al cameriere di avere a
portata di mano il materiale che occorre durante il servizio, senza doversi allontanare dal posto di
lavoro.
Sul tavolo di servizio o consolle il cameriere disporrà in ordine, dopo averli prelevati dall’ office, i
seguenti materiali:
•Biancheria di riserva
•tovaglie
•tovagliette o coprimacchia
•tovaglioli
•salviette di servizio
•Posate (disporre forchette e cucchiai con le parti concave l’una nell’altra)
•Bicchieri
•per l’acqua
•per il vino rosso
•per il vino bianco
•Ménages o accessori da tavola
•saliera e pepaiola
•oliera e acetiera
•zuccheriera
•bottigliette per le salse
•formaggiera
•porta stuzzicadenti
•Stoviglie
•piatti per vivande fredde (accatastati secondo la loro misura)
•piatti e tazze per vivande calde (vanno posti nell’armadio riscaldante, negli appositi scaldapiatti o
sugli scaldavivande)
•Scaldavivande e scaldapiatti (o réchaud)
•Vassoi di servizio (di diverse grandezze)
•Carte dei vini e menù del giorno (in quantità sufficiente)
•Portacenere (per la sala fumatori)
•Varie
•sciacquadita e caraffe per l’acqua
•straccio o spugna umidi
•fiammiferi o accendino
•blocco per comande
L’arte di apparecchiare la tavola
Mollettone, tovaglia, coprimacchia
Il cameriere stenderà, nell’ordine, i seguenti elementi:
1 - Mollettone
deve essere teso, in modo che la tovaglia vi aderisca bene.
2 -
Quali sono le caratteristiche del lavoro in Hotel?






Il lavoro che viene svolto in hotel è molto duro e, in base alle mansioni svolte, prevede turni anche di
ventiquattro ore al giorno per riuscire a coprire in maniera completa tutte le prenotazioni e i servizi
dell'hotel.
Qual'è la politica di assunzione del personale?
La politica di assunzione del personale in questo campo va studiata molto accuratamente in quanto si è
sempre alla ricerca di persone motivate e determinate.
Ogni hotel, ogni struttura ricettiva ha una propria politica di incentivazione e di stimolo per il
personale, in modo tale da rendere il lavoro più gratificante e quindi più efficiente.
Agli Hilton si punta molto alla carriera, anche l'ultimo lavapiatti, se fa bene la sua parte e porta avanti il
suo impegno con passione e motivazione, può diventare un direttore generale.
In altri alberghi puntano sulle mance: se il cliente è contento e soddisfatto del servizio offerto lascia
mance consistenti, che possono contribuire al buon arrotondamento dello stipendio.
In altri ancora si punta su una serie di piccoli privilegi dei quali il personale dell'albergo può usufruire:
pranzare con le pietanze del ristorante dell'hotel, usare i servizi di lavanderia o godere del prestigio di
un grande albergo.
Quali sono le mansioni richieste all'interno di un hotel?
Per capire meglio le mansioni richieste/svolte all'interno di un hotel dobbiamo immaginare di
suddividere la struttura in tante piccole aree, quanti sono i servizi offerti: ogni servizio avrà una propria
gerarchia di personale.
Solo per fare un esempio citiamo il servizio della cucina, con il capo cuoco responsabile, il capo cuoco,
cuoco unico, cuoco e cameriere.
Ovviamente ai vertice della nostra piramide gerarchica abbiamo il direttore d'albergo, che viene visto
come direttore generale di un'azienda strutturata che vende, 24 ore al giorno, vari servizi: camere,
ristorante, sale, servizi accessori. Gestisce le risorse umane, finanziarie e dei beni patrimoniali affidati.
L'Hotel ha avuto da sempre come indice di riconoscimento e di distinzione, il numero di stelle (1-5),
che stanno ad indicare il numero dei servizi offerti e messi a disposizione del cliente e la qualità di
questi servizi.
Ovviamente, più la struttura ha molti servizi da mettere a disposizione, più occorrerà personale, nello
stesso tempo, più la struttura ricettiva metterà ha disposizione del cliente servizi qualitativamente
impeccabile, più il personale che verrà messo a disposizione sarà maggiormente qualificato e
professionalmente istruito.

mercoledì 2 luglio 2014



Guarda i girasoli: si inchinano al sole, ma se ne vedi qualcuno che è inchinato un pò troppo,significa che è morto. Tu stai servendo però, non sei un servo. Servire è l'arte suprema. Dio è il primo servitore; Dio serve gli uomini ma non è servo degli uomini! Bellissime parole!

martedì 1 luglio 2014







Emergenza Sala nasce dall'idea di valorizzare Tutti gli Operatori del Settore degli Hotel, Ristoranti, Osterie, Trattorie a tutti coloro insomma che ogni giorno con tanta dedizione e passione portano in tavola la Cucina Italiana dei Nostri Meravigliosi Chef invidiati in tutto Il Mondo...e poi Noi Italiani come direbbe qualcuno (Mi Consenta...) siamo i Migliori in assoluto.... Grazie a Voi Tutti


sabato 28 giugno 2014



Game Over Staff Service


Diverse riviste blog, Tv disquisiscono sulla ristorazione, Non si parla mai invece della Servizio di Sala.

“Emergenza Sala”, un fenomeno che sta dilagando sempre di più: in un tempo di crisi assoluta come questo c’è un settore che potrebbe dare lavoro a tante persone.
Ma questo lavoro non si improvvisa,  ci vogliono anni di sacrifici, io ad esempio che  iniziai dal gradino piu basso ovvero alla (Plonge-Lavaggio stoviglie) con gli anni ho accumulato tantissima esperienza investendo sulla Mia persona.

Il settore turistico non è come tutti gli altri, ha bisogno di assoluta partecipazione  chi conta le ore di Lavoro  non ha capito nulla di questo Mondo meraviglioso dell'Hotellerie.

Gli Hotel oggi  cercano giovani, giovani, giovani; è la parola che ricorre di più negli annunci di lavoro.
Non c’è più fiducia nell’istruzione statale  ecco perché un team di lavoro preferisce assumere un Cameriere senza nessuna esperienza e formarlo da zero,un vero Chef de Rang (Cameriere) costerebbe  il doppio, ma al contempo risolverebbe diverse problematiche che un novellino non potrebbe.

Complice di tutto questo la crisi, le Istituzioni che non comprendo il Valore del Turismo Italiano, per non parlare poi del Cuneo Fiscale che le aziende sono sottoposte.
Avete mai sbirciato gli annunci riguardanti il personale dell'Hotellerie.....sembrerebbero quasi Barzellette, cosa che un tempo tutto ciò  lontanamente avremmo pensato di vedere.

Tante riviste, tanti giornali, tanti blog pubblicano articoli sulla ristorazione, su giovani camerieri che cercano lavoro, sulla speranza di trovare un’occupazione che possa garantire loro un futuro quantomeno accettabile.
Non si parla mai invece delle tante strutture ricettive e ristorative che sono alla ricerca di queste figure, oggigiorno sempre più difficili da reperire.
“Emergenza Sala”, un fenomeno che sta dilagando sempre di più: in un tempo di crisi assoluta come questo c’è un settore che potrebbe dare lavoro a tante persone e che invece arranca tra curricula di ex imprenditori, di avvocati e di gente che ha perso o ha trovato altri interessi.
Ma questo lavoro non si improvvisa, non esiste un canovaccio dal quale poter prendere spunto, non è una commedia: si va in servizio preparati e consapevoli delle proprie potenzialità, pena un servizio non all’altezza dell’azienda in cui ci si trova.
Elemento fondamentale di ogni curriculum e di ogni buon colloquio è la passione, che spesso non traspare, che non è per niente radicata in quegli operatori che invano ora cercano e sempre cercheranno lavoro nella ristorazione.
Il settore turistico non è come tutti gli altri, ha bisogno di assoluta dedizione; non si contano le ore, non si contano i giorni passati a studiare per essere sempre di più preparati, per rispondere a clienti esigenti e soprattutto per arricchire il proprio bagaglio culturale.
Il sacrificio come motore trainante della passione: ecco che allora tanti “camerieri” privi di tutto ciò restano senza lavoro, lasciati in quel “limbo” lavorativo che nessuno di noi sa descrivere ma che purtroppo nel 2013 conta tanti aspiranti camerieri.
Allora cosa fare? Come redimersi affinché ognuno di noi trovi la sua strada?
La soluzione finale non c’è.
Sempre di più le aziende cercano giovani, giovani, giovani; è la parola che ricorre di più negli annunci di lavoro.
Non c’è più fiducia nell’istruzione statale né tantomeno in quella privata: ecco perché un team di lavoro preferisce assumere un operatore senza nessuna esperienza e formarlo da zero piuttosto che, sembra strano a dirlo, assumere un operatore che ha già avuto molte esperienze.
Paradossalmente plasmare le nuove generazioni è molto più facile che investire in generazioni ormai logorate dalla quotidianità e da usi e tecniche non più attuali.
Ma non tutto è perduto: sicuramente la voglia, la passione e le ambizioni costituiscono un titolo preferenziale rispetto ai tanti curricula che sono lo specchio di una crisi di altri settori commerciali.
La ristorazione, per finire, è un mondo del quale ci s’innamora perdutamente, come di una dolce fanciulla; è amore profondo e assolutamente non ripagato in carattere economico, ma basta uno sguardo, un complimento o una stretta di mano di un cliente che per una sera si è trovato bene, che per una volta ha trascorso una serata indimenticabile, ed ecco che tutti i sacrifici per un attimo vengono ripagati: finalmente chi, come me, ha assoluta passione per questo lavoro, trova e ottiene la giusta ricompensa.
- See more at: http://www.lacucinaitaliana.it/lcipro/index.php/2013/09/la-passione/#sthash.V0jT8KLF.dpuf
Tante riviste, tanti giornali, tanti blog pubblicano articoli sulla ristorazione, su giovani camerieri che cercano lavoro, sulla speranza di trovare un’occupazione che possa garantire loro un futuro quantomeno accettabile.
Non si parla mai invece delle tante strutture ricettive e ristorative che sono alla ricerca di queste figure, oggigiorno sempre più difficili da reperire.
“Emergenza Sala”, un fenomeno che sta dilagando sempre di più: in un tempo di crisi assoluta come questo c’è un settore che potrebbe dare lavoro a tante persone e che invece arranca tra curricula di ex imprenditori, di avvocati e di gente che ha perso o ha trovato altri interessi.
Ma questo lavoro non si improvvisa, non esiste un canovaccio dal quale poter prendere spunto, non è una commedia: si va in servizio preparati e consapevoli delle proprie potenzialità, pena un servizio non all’altezza dell’azienda in cui ci si trova.
Elemento fondamentale di ogni curriculum e di ogni buon colloquio è la passione, che spesso non traspare, che non è per niente radicata in quegli operatori che invano ora cercano e sempre cercheranno lavoro nella ristorazione.
Il settore turistico non è come tutti gli altri, ha bisogno di assoluta dedizione; non si contano le ore, non si contano i giorni passati a studiare per essere sempre di più preparati, per rispondere a clienti esigenti e soprattutto per arricchire il proprio bagaglio culturale.
Il sacrificio come motore trainante della passione: ecco che allora tanti “camerieri” privi di tutto ciò restano senza lavoro, lasciati in quel “limbo” lavorativo che nessuno di noi sa descrivere ma che purtroppo nel 2013 conta tanti aspiranti camerieri.
Allora cosa fare? Come redimersi affinché ognuno di noi trovi la sua strada?
La soluzione finale non c’è.
Sempre di più le aziende cercano giovani, giovani, giovani; è la parola che ricorre di più negli annunci di lavoro.
Non c’è più fiducia nell’istruzione statale né tantomeno in quella privata: ecco perché un team di lavoro preferisce assumere un operatore senza nessuna esperienza e formarlo da zero piuttosto che, sembra strano a dirlo, assumere un operatore che ha già avuto molte esperienze.
Paradossalmente plasmare le nuove generazioni è molto più facile che investire in generazioni ormai logorate dalla quotidianità e da usi e tecniche non più attuali.
Ma non tutto è perduto: sicuramente la voglia, la passione e le ambizioni costituiscono un titolo preferenziale rispetto ai tanti curricula che sono lo specchio di una crisi di altri settori commerciali.
La ristorazione, per finire, è un mondo del quale ci s’innamora perdutamente, come di una dolce fanciulla; è amore profondo e assolutamente non ripagato in carattere economico, ma basta uno sguardo, un complimento o una stretta di mano di un cliente che per una sera si è trovato bene, che per una volta ha trascorso una serata indimenticabile, ed ecco che tutti i sacrifici per un attimo vengono ripagati: finalmente chi, come me, ha assoluta passione per questo lavoro, trova e ottiene la giusta ricompensa.
- See more at: http://www.lacucinaitaliana.it/lcipro/index.php/2013/09/la-passione/#sthash.V0jT8KLF.dpuf
Tante riviste, tanti giornali, tanti blog pubblicano articoli sulla ristorazione, su giovani camerieri che cercano lavoro, sulla speranza di trovare un’occupazione che possa garantire loro un futuro quantomeno accettabile.
Non si parla mai invece delle tante strutture ricettive e ristorative che sono alla ricerca di queste figure, oggigiorno sempre più difficili da reperire.
“Emergenza Sala”, un fenomeno che sta dilagando sempre di più: in un tempo di crisi assoluta come questo c’è un settore che potrebbe dare lavoro a tante persone e che invece arranca tra curricula di ex imprenditori, di avvocati e di gente che ha perso o ha trovato altri interessi.
Ma questo lavoro non si improvvisa, non esiste un canovaccio dal quale poter prendere spunto, non è una commedia: si va in servizio preparati e consapevoli delle proprie potenzialità, pena un servizio non all’altezza dell’azienda in cui ci si trova.
Elemento fondamentale di ogni curriculum e di ogni buon colloquio è la passione, che spesso non traspare, che non è per niente radicata in quegli operatori che invano ora cercano e sempre cercheranno lavoro nella ristorazione.
Il settore turistico non è come tutti gli altri, ha bisogno di assoluta dedizione; non si contano le ore, non si contano i giorni passati a studiare per essere sempre di più preparati, per rispondere a clienti esigenti e soprattutto per arricchire il proprio bagaglio culturale.
Il sacrificio come motore trainante della passione: ecco che allora tanti “camerieri” privi di tutto ciò restano senza lavoro, lasciati in quel “limbo” lavorativo che nessuno di noi sa descrivere ma che purtroppo nel 2013 conta tanti aspiranti camerieri.
Allora cosa fare? Come redimersi affinché ognuno di noi trovi la sua strada?
La soluzione finale non c’è.
Sempre di più le aziende cercano giovani, giovani, giovani; è la parola che ricorre di più negli annunci di lavoro.
Non c’è più fiducia nell’istruzione statale né tantomeno in quella privata: ecco perché un team di lavoro preferisce assumere un operatore senza nessuna esperienza e formarlo da zero piuttosto che, sembra strano a dirlo, assumere un operatore che ha già avuto molte esperienze.
Paradossalmente plasmare le nuove generazioni è molto più facile che investire in generazioni ormai logorate dalla quotidianità e da usi e tecniche non più attuali.
Ma non tutto è perduto: sicuramente la voglia, la passione e le ambizioni costituiscono un titolo preferenziale rispetto ai tanti curricula che sono lo specchio di una crisi di altri settori commerciali.
La ristorazione, per finire, è un mondo del quale ci s’innamora perdutamente, come di una dolce fanciulla; è amore profondo e assolutamente non ripagato in carattere economico, ma basta uno sguardo, un complimento o una stretta di mano di un cliente che per una sera si è trovato bene, che per una volta ha trascorso una serata indimenticabile, ed ecco che tutti i sacrifici per un attimo vengono ripagati: finalmente chi, come me, ha assoluta passione per questo lavoro, trova e ottiene la giusta ricompensa.
- See more at: http://www.lacucinaitaliana.it/lcipro/index.php/2013/09/la-passione/#sthash.V0jT8KLF.dpuf


Tempo scaduto......

Non esistono più chef de rang, Maitre, commis,  esistono soltanto (porta piatti del sabato e domenica)

venerdì 27 giugno 2014

Chi Serviresti come Primo Ospite 



Seguire le norme relative alla buona educazione è importante per chiunque,ma lo è ancora di più per coloro che svolgono una professione caratterizzata dal contatto con persone. Servire alcuni ospiti prima e altri dopo, rientra in quel contesto di galateo di servizio che un professionista deve obbligatoriamente far proprio.
PrecedenzaNella nostra società, in cui si persegue la parità di diritti, doveri e opportunità, molte “buone maniere” hanno ceduto il passo alla standardizzazione del trattamento nei rapporti con le persone, e talvolta il servizio è diventato freddo, informale, impersonale: proprio l’esatto
contrario
di ciò che dovrebbe essere.
L’argomento è complesso, in quanto vi sono pasti informali nei quali l’etichetta è seguita in modo meno ferreo (per esempio un sacerdote può dare indicazioni di servire prima le signore), e pasti ufficiali nei quali vige un rigido protocollo, che varia in base all’evento, in particolare in occasione di incontri diplomatici. In quest’ultimo caso le precedenze sono stabilite da responsabili di servizio e organizzatori neiminimi dettagli.
In generale occorre dare sempre la precedenza alle persone festeggiate, agli ospiti, ai membri del clero, alle donne, alle persone più autorevoli e a quelle più anziane.
È importante ricordare che chi offre il pasto, colui che organizza la cena, viene sempre servito dopo i suoi invitati; nel caso si tratti di una signora, prima si serviranno tutte le altre signore, poi la signora organizzatrice, infine gli uomini.

Esempi di precedenza
Ordine delle precedenze
Un’annotazione particolare la meritano i bambini, ai quali non spettano precedenze nel servizio, però con il loro comportamento possono condizionare negativamente lo svolgimento e il gradimento del pasto da parte degli adulti. Ai bambini va quindi dedicata la massima attenzione, nell’interesse sia dei clienti che desiderano gustare i cibi e trascorrere
un piacevole momento a tavola, sia del ristoratore che avrà invogliato i clienti a tornare. Il responsabile analizzerà la situazione e cercherà di fare in modo che i bambini siano serviti subito o in tempi rapidissimi, in particolare in caso di bambini molto piccoli o irrequieti.
Non è sempre semplice capire chi servire prima e chi dopo, ed è qui che subentra anche la sensibilità del cameriere, che in ogni occasione valuterà il giusto equilibrio di quel complesso di relazioni che determinano le precedenze.


Educazione e Bon Ton





L’educazione è uno degli strumenti più convincenti per conquistare la clientela; è sempre molto apprezzata e tante persone ne avvertono la carenza.
È difficile insegnare e fare rispettare le norme che rientrano nella buona educazione. In una società che evolve velocemente, queste regole assumono, per chi non le comprende, il valore di imposizioni vetuste e inutili.
Si tratta di un’idea sbagliata: viviamo in una società di servizi e imparare come comportarsi con le altre persone è un passo determinante nell’apprendimento della professione.
Talvolta si confonde l’educazione con il servilismo, e la si considera come un segno di debolezza, non solo sul lavoro ma anche a scuola, tra amici, nella società in genere.
Stile, garbo, classe, savoir faire… sono invece pregi che rendono le persone che ne sanno far buon uso superiori alle altre, più forti e con maggiori capacità di influenzare il prossimo.
A chi ritiene che si tratti di servilismo, è bene ricordare che questa è una condizione che può essere presente solo in coloro che svolgono un lavoro che non amano, assumendo atteggiamenti forzati dalle necessità.
Per coloro che apprezzano il proprio lavoro e il servizio che offrono, la buona educazione diventa un atteggiamento naturale e spontaneo.


Saper stare a tavola comportandosi in modo corretto è una qualità sempre meno diffusa. Oggigiorno le persone pensano soltanto alla propria comodità. Inoltre, ormai è andata quasi perduta la “cultura del galateo”, che indicava come comportarsi nelle diverse occasioni, specialmente a tavola. Proprio perché pochi rispettano certe regole, considerate forse antiquate, è importante conoscere (e mettere in pratica) queste nozioni, in particolare per un cameriere o barista, la cui classe ed eleganza dovrebbe essere almeno superiore alla media. È prassi consolidata che baristi e camerieri quando servono persone che non sanno comportarsi (non sanno quali posate o bicchiere usare, non sanno usare coltello e forchetta, non sanno come va bevuta una bibita, non sanno che il vino va assaggiato...) parlino tra loro criticandole in modo molto severo.
Ora tu sei il cliente, e queste sono solo le principali regole di galateo da seguire per essere considerato una persona educata anche mentre mangi e bevi.

Postura, movimenti, gestualità

  1. Cedi sempre il passo alla signora e, se non lo fa un cameriere, spostale la sedia e aprile la porta.
  2. Prima si fanno accomodare le signore; i signori attendono in piedi fino a quando l’ultima donna non si è accomodata.
  3. Quando ti siedi al tavolo, lascia che la signora abbia il posto migliore, in genere rivolto verso la sala o una bella veduta esterna.
  4. Quando si è seduti al tavolo e si avvicina una persona, gli uomini si devono prima alzare in piedi e poi salutare, le donne invece salutano senza alzarsi.
  5. Se durante il pasto una signora si allontana, gli uomini interrompono la conversazione e si alzano un istante in segno di cortesia; il gesto va ripetuto quando la signora torna al tavolo.
  6. Non ci si togliemai giacca o cravatta, e non ci si arrotola lemaniche della camicia.
  7. Non si parla con la bocca piena, e simastica con la bocca chiusa.
  8. In caso di starnuto, cerca di contenerlo e girati di lato, coprendo naso e bocca con un fazzoletto.
  9. Per chiamare un cameriere è sufficiente un cenno della testa o dellamano; evita inmodo assoluto di schioccare le dita o chiamare a voce alta, magari con termini come: capo, ehi, ascolta...!
  10. Dal tavolo ci si alza ilmeno possibile.
  11. La sedia va tenuta vicino al tavolo e non si accavallano le gambe.
  12. Quando simangia, il busto devemantenersi eretto, piegandosi leggermente verso il piatto.
  13. I gomiti vanno tenuti vicino al corpo e le mani stanno sempre sul tavolo; non si appoggiano i gomiti sul tavoloma solo gli avambracci.
  14. Simangia lentamente emasticando a lungo, si beve a piccoli sorsi.
Massimo Bottura!!










Un doverosissimo plauso và al Mio Chef preferito Massimo Bottura,  egli racchiude la cucina Italiana  in una semplicità complessa.

Mi esprimo meglio, i suoi tagli lineari e puliti fanno sì che nell'assemblaggio di un piatto vi sia una semplice disposizione di gusti, curioso che studia cultura e società per riportarle sul piatto, è un’osservatore tenace della realtà e non per ultimo un grande amante dell’arte contemporanea.



Troppi Chef

 


Quando Gianluigi Morini aprì, nel 1970, il suo San Domenico, con l’intenzione di proporre - novità nella ristorazione italianala - la “cucina di casa”, si rivolse al “cuoco dei re”, Nino Bergese, una vita trascorsa ai fornelli delle grandi famiglie italiane.
“La nostra è stata sempre una ristorazione anomala - spiega Gianluigi Morini -. Ho pensato al mio ristorante come a una casa, di conseguenza al personale di sala come personale di famiglia. Non ho istituito ruoli ben definiti, ma ho avuto la fortuna di lavorare sin dall’inizio con i fratelli Marcattilii, Natale responsabile della sala e Valentino in cucina. La nostra brigata di sala è composta da otto persone per un totale di trenta coperti. Ho sempre mantenuto questi numeri, per garantire la massima attenzione ad ogni tavolo. Il cameriere che segue un tavolo non si allontana mai, non va in cucina a prendere i piatti, ma c’è un cameriere addetto che fa la spola tra sala e cucina”.
Per il patron del San Domenico reperire buone professionalità per il comparto di sala non ha mai rappresentato un problema.
“Sarà forse perchè lavoriamo in una piccola città, ma siamo sempre riusciti ad avere ragazzi validi, che sono rimasti a lungo con noi, garantendo continuità e crescita professionale. Anche il rapporto con le due scuole alberghiere della zona è buono, abbiamo studenti che svolgono periodi di stage al San Domenico. Un problema però c’è: oggi si presta poca attenzione al curriculum, alle esperienze maturate, che invece sono fondamentali”. Il suggerimento di Morini è quello di fare esperienza all’estero.
“Sono fondamentali, aiutano a crescere. Noi abbiamo aperto il San Domenico a New York nel 1988, molti ragazzi sono transitati da lì: è un’esperienza che aiuta a forgiare il carattere, dà professionalità, regala esperienza. A New York la sera abbiamo 300 coperti, numeri diversi dai nostri: chi ci lavora impara tanto anche da questo”.

Si ricevono  curriculum solo  per la cucina, e un curriculum al mese per la sala. Questo dato fa capire il diverso interesse che i ragazzi nutrono per i due comparti. È la logica conseguenza della sovraesposizione mediatica che hanno oggi i cuochi”.
I Santini sono la grande famiglia della ristorazione italiana. Nel loro ristorante a Canneto sull’Oglio, tre stelle Michelin, lavorano, per ventotto coperti, venti persone. Sei sono componenti della famiglia: Antonio, direttore generale e responsabile del personale; Nadia, la moglie, chef; i figli Giovanni, chef e responsabile della ricerca e sviluppo e Alberto, responsabile dell’amministrazione e dell’organizzazione del lavoro; Valentina Tanzi, fidanzata di Giovanni, che cura la redazione dei menu, l’allestimento degli arredi ed è responsabile dei dettagli. E poi c’è Bruna, la memoria storica, in cucina al Pescatore dal 1952. Antonio Santini espone subito uno dei problemi che si ha oggi in sala: la mancanza di giovani pronti ad intraprendere questa carriera.
“Attenzione però, non è un problema tipicamente italiano. Marc Haeberlin, presidente dell’associazione Grandes Tables du monde, mi ha confermato che questa fenomeno è ancora più sentito in Francia”. Come intervenire? Andando all’origine del problema: nelle scuole. “È importante che negli istituti alberghieri, al momento della scelta del percorso formativo, sia comunicato agli studenti che c’è un sovrannumero di cuochi e un numero ridotto di personale di sala. Quando si sceglie il proprio percorso, bisogna guardarsi dentro e capire le proprie attitudini, ma anche valutare gli sbocchi lavorativi. Dobbiamo far capire ai ragazzi che è inutile che tutti scelgano la cucina, altrimenti c’è il rischio concreto che non trovino lavoro. Ma bisogna anche trasmettere un concetto che si è perso negli ultimi anni: il comparto di sala è fondamentale in un ristorante. Michel Guérard, grande cuoco, ha detto: quando la cucina è buona vale il 48%, se è cattiva vale il 100%”. La restante quota comprende tanti elementi: sala e servizio ne sono parte predominante. Come intendere allora il servizio oggi? “Bisogna rafforzare gli aspetti psicologici, intuire le aspettative della clientela, prevenirne le richieste. Essere gentili e sorridenti, stando attenti a non sovraccaricare il servizio, con un’invadenza eccessiva, senza però mai trascurare il cliente”. Anche secondo Antonio Santini l’esperienza all’estero è un passaggio importante. “Ma non bisogna farla solo per metterla a curriculum. Non serve a nulla fare un’esperienza di tre mesi in un paese. Bisogna restarci finchè non si ha la convinzione di aver capito gli aspetti fondamentali di una cucina e di un Paese e comunque bisogna fare esperienze di almeno un anno”.

Alla base c’è sempre l’IPSAAR, l’Istituto Professionale per le Attività Alberghiere e della Ristorazione (sono 250 in Italia). La scuola alberghiera, tanto bistrattata, bisognosa di nuovo slancio, di una riforma, di una connessione maggiore con la realtà odierna del comparto ristorativo e ricettivo. Conseguito il diploma, non si aprono molte possibilità per chi voglia continuare il percorso formativo del comparto di sala. Anzi, di specifico, non c’è proprio nulla.
La didattica negli istituti alberghieri si articola in cinque anni, con un orario settimanale di 36 ore. Nei primi due anni gli allievi frequentano le stesse materie, e sono previste 9 ore settimanali di pratica suddivise tra sala, cucina e ricevimento. Al termine del secondo anno i ragazzi sono chiamati a scegliere tra questi tre settori. Il terzo anno prevede 18 ore settimanali di pratica specifiche dell’indirizzo scelto. Alla sua conclusione gli studenti conseguono la qualifica di base, e possono scegliere se fare il biennio di specializzazione o terminare il proprio percorso scolastico.
Il biennio di specializzazione, più teorico, è suddiviso in due indirizzi: sala bar e cucina da una parte, ricevimento dall’altra. Negli ultimi quindici anni gli istituti alberghieri (così come gli altri istituti tecnici) si sono dotati di un importante strumento per avvicinare gli studenti al mondo lavorativo: sono gli stage, obbligatori per acquisire crediti scolastici, generalmente svolti in estate, a chiusura del quarto anno, all’interno di strutture ricettive o ristorative. Al termine del quinto anno, dopo la maturità, si consegue il diploma di tecnico dei servizi della ristorazione o tecnico dei servizi turistici. Poi, non resta che lavorare.

 Bisogna capire cosa ci si aspetta dagli istituti alberghieri. Il mondo del lavoro cerca la manualità, ma noi possiamo darla fino a un certo punto. A scuola si possono apprendere le tecniche, ma queste vanno perfezionate con la pratica. Noi diamo prerequisiti che vanno ampliati nella carriera lavorativa.
Il nostro obiettivo non è quello di insegnare a portare dei piatti, ma vogliamo trasmettere un abito interiore, la giusta mentalità ai ragazzi. Per raggiungere questo scopo non servono solo le tecniche manuali, ma una cultura generale di base e una cultura alimentare profonda”. A parlare così è Enrico Alloero, preside dell’istituto alberghiero Marco Polo di Genova, 1300 alunni iscritti. “In parte concordo con le critiche di Scabin -continua Alloero-. Bisogna però comprendere che i ragazzi di oggi sono molto diversi dai ragazzi di trent’anni fa.I ristoratori si aspettano ragazzi pronti, con buone capacità e poche pretese.
I ragazzi oggi hanno meno disposizione a farsi comandare, hanno una personalità più spiccata.
Per quanto riguarda la mancata presenza di professionisti nella scuola, anche questo aspetto è vero solo in parte, perchè esistono spazi dove i ragazzi entrano in contatto con i professionisti del settore. Ma siamo scuole pubbliche, i docenti vengono scelti sulla base di concorsi e graduatorie: questo può essere un limite da una parte, ma è anche garanzia dall’altra”.
Qual è l’identikit dello studente che sceglie la scuola alberghiera?
“A torto l’alberghiero è considerato una scuola più facile. Le iscrizioni dunque sono sempre numerose, anche perchè, e questo è vero, è una scuola che garantisce ottime possibilità di lavoro immediato. Purtroppo sono molti i ragazzi poco motivati, infatti abbiamo una scrematura importante al primo anno scolastico. Fino a qualche anno fa c’era una netta predominanza maschile, oggi invece la percentuale di iscritti tra i due sessi è praticamente identica. Negli ultimi anni, almeno nel nostro caso, registriamo una grande crescita di iscritti stranieri. Quando c’è da scegliere tra sala e cucina, circa il 60% opta per la cucina. La percentuale dovrebbe essere inversa, perchè è la sala a garantire maggiori possibilità d’impiego”.
 Antonio Montanari è docente del corso “Sistemi di ristorazione” all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, architetto e autore del libro Mangiare fuori. Logiche e tecniche della ristorazione italiana dall’osteria al fast food (edizioni Edifis).
“I sistemi di ristorazione studiano il percorso completo che ogni componente gastronomico deve subire per essere portato alla bocca del commensale. Nell’ambito di questo percorso c’è anche quello che viene definito comparto di sala- esordisce Antonio Montanari-. Il comparto di sala è uno dei momenti del processo globale della ristorazione. Considerare in crisi il comparto di sala è, secondo me, solo una parte della crisi, o meglio dell’evoluzione che oggi è in atto nella ristorazione. A mio parere non è corretto dire che il comparto di sala è in crisi perchè mancano i grandi maitre: forse è più corretto domandarsi qual è il modus attuale del servizio, ossia come sviluppare il comparto di sala. Non c’è più il maitre gallonato, il menu scritto in francese, la mise en place con quattro bicchieri e sette posate, ovvero gli elementi che facevano il comparto di sala trent’anni fa, ma c’è una cultura nuova e strumenti nuovi. C’è un modo nuovo di comunicare il cibo. La comunicazione del cibo deve avvenire attraverso una serie di elementi tra di loro legati: la conoscenza del percorso fatto dal prodotto, la preparazione, la cultura di tutto ciò che ci è dietro. Tutto quello che concerne e avviene in sala, dall’illuminazione ai colori, alla scelta della forma del piatto, al modo di servire deve essere coerente al sistema globale”.

 ALMA è il centro di formazione internazionale della cucina italiana guidata dal rettore d’eccezione Gualtiero Marchesi. È una scuola privata che ha sede a Colorno, con all’attivo, attualmente, tre corsi: il corso di cucina italiana, il corso di pasticceria e il corso di sommelier internazionale. A parte la figura del sommelier, dunque, il comparto di sala non ha un corso specifico di formazione. Perchè? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Sinigaglia, responsabile della didattica di ALMA.
“La risposta, purtroppo, è semplice. Siamo una scuola privata, e per organizzare un corso abbiamo bisogno che ci sia una richiesta- spiega Andrea Sinigaglia-. Abbiamo cercato di organizzare corsi specifici dedicati alla sala, ma purtroppo in questo settore attualmente non c’è mercato. La figura del cameriere è svilita, non ha appeal verso i giovani. Ma è un aspetto che sta molto a cuore al rettore di Alma, Gualtiero Marchesi. Se la cucina è il luogo del saper fare, la sala evidenzia la capacità di far sapere. Negli ultimi anni Marchesi ha portato avanti una riflessione sul servizio in sala, optando per riportare davanti agli occhi del cliente alcune tecniche desuete, come il trancio e la torchiatura di certi piatti (celebre l’anatra al torchio). Il corso di sommellerie, nato lo scorso anno, è stato un modo utile per entrare nell’ambito del servizio, un punto di partenza per abbracciare in futuro tutto il comparto di sala”. Quale può essere il punto di svolta per l’attuale stagnazione del comparto di sala, allora? Sinigaglia propone la sua ricetta. “Quello che è importante, e che noi abbiamo a cuore, è che nasca un movimento di una decina di giovani e bravi maitre, persone in grado di mettere in campo un nuovo movimento, una nuova elettricità, figure con le quali iniziare un dialogo, avanzare idee per ridare appeal e piacevolezza a questo lavoro che storicamente appartiene alla cultura gastronomica italiana. Noi abbiamo già interpellato alcune figure di rilievo, per collaborare a qualcosa di concreto. Penso a Adriano Fumis, oste del Gellius di Oderzo; Raffaele Alaimo delle Calandre; Simone Pinoli e Umberto Giraudo della Pergola di Roma; Carlo Pierato, maitre dell’Anteprima di Chiuduno; Carlo Sacco, direttore di sala del Piccolo Lago di Verbania; Gianfranco Bolognesi, patron della Frasca di Milano Marittima; Giancarlo Grassi, maitre sommelier dell’Antica Osteria del Teatro di Piacenza; Roberto Stroppiana, responsabile di sala del ristorante Piazza Duomo di Alba. Ci candidiamo, insomma, ad essere luogo di dialogo e incontro per chi voglia dare il suo contributo alla rinascita del comparto di sala”.

L’AMIRA (Associazione Maitres Italiani Ristoranti ed Alberghi) è nata nel 1955 presso il Ristorante Savini di Milano, su idea dell’allora direttore di sala Guido Ferniani. L’associazione, presieduta da Raffaello Speri, conta su un’organizzazione di 50 sezioni in Italia, più alcune rappresentanze all’estero, e circa 4000 soci. Noi abbiamo interpellato Giacomo Rubini, vicepresidente nazionale.
“L’associazione svolge corsi in tutta Italia allo scopo di qualificare i nostri maitre a 360 gradi. La ristorazione, negli ultimi venti anni, ha avuto un’evoluzione impressionante. Oggi l’operatore di sala deve possedere una conoscenza vastissima del cibo e delle bevande. Occorre dunque un aggiornamento continuo, ed è quello che che l’AMIRA ha fatto in questi anni, cercando di restare al passo coi tempi. Ad esempio, ultimamente in seno all’associazione è stata registrata la figura del maitre sommelier, professionalità sempre più richiesta”.
Anche Giacomo Rubini concorda sulla difficoltà di attrarre giovani al comparto di sala. “È sempre più difficile trovare personale. Il cameriere viene associato al verbo servire. La sua figura, invece, non può essere ridotta a questo, occorre aggiungere altri verbi per definirla: agevolare, consigliare, conversare, interagire, mettere a proprio agio, sapere, vezzeggiare e, ultimo, ma importantissimo, sorridere. Oggi gli chef hanno tutte le attenzioni perchè hanno occupato anche la sala, e ora si lamentano che manca il servizio. Con la porzionatura in cucina, i piatti escono finiti: allora non si trova più chi sa diliscare, chi sa tranciare, chi sa cuocere alla lampada in sala. Nei nostri corsi queste tecniche le trasmettiamo: un commensale quando è a tavola vuole essere coinvolto anche a livello scenico”.
Quali sono le altre differenze rispetto al passato?
“Il maitre un tempo era la figura più rispettata, era il padrone di casa, e aveva sotto di sé brigate di sala molto ampie, anche di 30 - 40 componenti. Oggi le brigate si sono ridotte notevolmente, e il maitre deve avere altre doti. Deve conoscere l’informatica, avere ottima cultura generale, conoscere le maggiori lingue straniere, essere un manager. Il percorso inizia dalla scuola. È vero che la formazione alberghiera è sempre stata considerata di serie B, ma un buon maitre deve avere anche solide basi teoriche. Poi ci sono le doti fondamentali di un maitre, che sono rimaste invariate: l’umiltà prima di tutto, un grande savoir faire, una grande capacità psicologica nel comprendere il cliente”.

 Già: queste quattro componenti devono avere pari dignità. Non credo che la cucina pesi, nella valutazione di un ristorante, il 70%, e le altre componenti, assieme, il 30%. Se gli stessi addetti ai lavori hanno questa visione della ristorazione, come si possono motivare i ragazzi che stanno iniziando il loro percorso formativo o lavorativo nel comparto di sala?”.
Luca Vissani, maitre e sommelier del ristorante Casa Vissani, è chiaro. “La sala svolge il compito di ineguagliabile filtro tra la cucina e il cliente, rappresenta davvero la marcia in più per un locale. Eppure nelle scuole alberghiere la voce “sala” sta quasi scomparendo. È un processo naturale, visto che tutte le attenzioni sono per i cuochi. Perchè un ragazzo dovrebbe scegliere la sala? Dobbiamo invece rivalutarne il ruolo, motivare i ragazzi. E non ci si può limitare ad inventare qualche nome. L’idea del conviver è valida, ma non bisogna fare l’errore di credere che con questo nome sia mutato il ruolo del cameriere, sia cambiato il sistema. Finchè il cameriere, nell’immaginario, resta un lavoro part time, che possono svolgere i ragazzi per farsi un po’ di soldi, senza nessuna professionalità, il settore resterà bloccato e a essere danneggiati saranno soprattutto quei ragazzi spinti da forte motivazione”.
Allora, quali consigli dare ai ragazzi che hanno passione per il servizio?
“Oggi i giovani, che sia sala o cucina, vogliono fare esperienza solo nei locali stellati. La gavetta, che è fondamentale, non si crea solo o prevalentemente nei locali stellati.
Il mio consiglio è di aggiornarsi continuamente, andando in giro, studiando. Ma soprattutto imparare il galateo, le regole antiche del buon servizio. Probabilmente il galateo può essere alleggerito, svecchiato nelle sue parti anacronistiche, ma bisogna conoscerlo a fondo, perchè rappresenta la base del nostro lavoro”.

  Quanto è importante il comparto di sala?
“È fondamentale. Quando un piatto è tecnicamente perfetto, quando ha il gusto che lo chef vuole e cerca, con la giusta acidità, il giusto punto di sale, la giusta consistenza, stop, è perfetto, si mette in produzione. Se un cliente non lo ama, penso che non ha scelto bene. Questo non si può dire del servizio, che magari è perfetto per un tavolo, ma non marcia bene per un altro. Tutti i giorni bisogna registrare qualcosa, aumentare il proprio livello di sensibilità. Qualche volta guardo la sala da fuori, nascosto: è come un teatro. Tutte le sere nel mio ristorante si va a fare una rappresentazione, ma l’attore non è la cucina, gli attori sono i clienti. C’è il servizio, ci sono i piatti, ma ogni tavolo è una rappresentazione. In sala si va a creare qualcosa che non è scritto sul libro, è senza ricetta, è una creazione tutti i giorni differente. Certo ci sono regole di base, l’accoglienza, la mise en place, le temperature di servizio del vino, ma tu puoi anche rispettare tutte le regole e fare un servizio sbagliato. Il cliente è il centro dell’opera, e l’opera deve essere intorno al cliente. Altrimenti è solo metodo, come quello dei fast food. Il servizio può essere perfetto, ma si capisce che è un format; è un grande servizio, ma non è fatto per il cliente. La magia si crea in sala, non in cucina”.

       Da più parti è finita sotto accusa la pratica della porzionatura.
“Se oggi io tento, come sto facendo, di impostare piatti che devono essere finiti al tavolo, sapete che difficoltà ci sono? E non parlo di un’anatra al torchio. Lasciamo stare la poesia. Se un cliente mi chiede un insalata servita al tavolo, vi garantisco che è già un problema. Un tempo c’erano maitre che se il cuoco stava male durante il servizio, si toglievano lo smoking, si mettevano il grembiule e sostituivano il cuoco. Il maitre era un cuoco che non cucinava, ma che sapeva parlare, sapeva presentare.Il cuoco mediamente aveva la pancia, i capelli unti e non parlava; poi gli chef hanno cominciato a viaggiare, a imparare l’inglese, a saper comunicare, a saper stare davanti a una telecamera, e c’è stata una rivoluzione: gli chef sono usciti dalla cucina. Anche troppo”.

      Tutti hanno sostenuto l’importanza di esperienze all’estero.
“È vero. Ma il mio consiglio, per maitre e cuochi, è di non fare subito le grandi case estere, perchè prima bisogna maturare una propria capacità di vedere le cose. Quando si hanno le capacità di capire e selezionare, allora si possono fare le case estere, altrimenti c’è il rischio di avere troppo imprinting da copia e incolla, si rischia di non aver la propria personalità. Per il servizio, il riferimento rimane la Francia, certamente, dove tu puoi vedere una certa scuola, una certa organizzazione, un certo rispetto. Meno importante la Spagna, dove anche a livello alto il servizio è troppo easy. Poi Inghilterra, che è sempre una piazza importante, e Stati Uniti, dove come in nessun altro Paese occorre sviluppare una testa da manager, e dove si trova, a tutti i livelli, un bel servizio, svolto con piacevolezza, sorriso, cortesia. Infine, un passaggio nel sud est asiatico: lo stile orientale del servizio ha un’eleganza assoluta, anche se per noi è fin quasi eccessivo, esagerato”.

      In Italia, chi è al top nel servizio?

“In Italia ci sono ancora due o tre stili. Uno è quello del Pescatore, la maison italiana per antonomasia. Poi c’è lo stile della Pergola, gli unici in Italia ad aver scritto un libro”.

      Qual è lo stile di Davide Scabin?
“Il mio è uno stile Combal. Fa attenzione a non essere nè troppo serio nè troppo alla spagnola. Io credo che sia una buona interpretazione contemporanea del servizio. E abbiamo un sistema per gli errori. Non è vero che più si sale di livello, meno errori si fanno. Bisogna però avere un sistema per trattarli. Fare l’errore non è mai il problema, è sempre la gestione dell’errore l’importante. Il mio motto per il 2009, che vale per ogni componente del ristorante è: quando si vuole ottenere un certo livello di perfezione, cambiare cento dettagli solamente dell’1% è più efficace e difficile che cambiare un solo particolare del 100%”.

      Quali sono gli errori più gravi commessi in sala?
“Gli errori gravi sono quando qualcuno fa una domanda, su un piatto, su una materia prima, e il cameriere non sa rispondere: significa che non sa cosa sta portando, cosa sta consigliando. L’errore grave è quando non si sa trattare la situazione, non si sa trattare un errore. Mantenere la concentrazione è la cosa primaria, la formazione allo stress psicologico è un allenamento fondamentale”.

      In quale direzione andrà lo stile italiano del servizio?
“Innanzitutto, visto che gli uomini stanno lasciando degli spazi vuoti, è un comparto dove le donne si stanno affermando molto velocemente. Se la visione tradizionale francese tende a ostruire lo sviluppo della donna in sala, almeno a grande livello, in Italia il servizio di sala è molto sbilanciato verso un futuro femminile. Secondo me, nel creare lo stile italiano, il cliente deve percepire che nel servizio ci sono diversi ruoli, ma che tutti sono importanti, che tutti vanno a comporre un puzzle, un sistema. È la differenza, in architettura, che c’è tra una casa divisa in stanze e un loft, dove c’è un open space che ha differenti architetture nello stesso spazio tra loro armonizzate. Questa è la mia visione: non c’è più il maitre, il sommelier, le commis, c’è il sommelier che, con un bel sorriso, può anche servire un piatto. È uno stile molto difficile: è più facile gestire uno staff con divisioni ben precise; mescolare i ruoli è più complicato. C’è qualcuno che può fare qualcosa in più, ma tutti sono importanti. Io penso che la nouvelle vague italiana possa iniziare da qui: allora si può creare un nuovo pensiero della sala. Noi dobbiamo creare lo stile italiano, non possiamo copiare lo stile francese”.